sabato 25 ottobre 2008

La Spagna dei tori

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TOROS EN EL PUERTO
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El Puerto de Santa Maria (20 km dalla capitale di provincia, Cadice) vanta una importantissima tradizione taurina. "Chi non ha visto tori a El Puerto, non sa cosa sia una giornata di tori", disse una volta il leggendario matador Joselito, e il suo commento è immortalato in un pannello di azulejos all' entrata della Plaza. A inaugurarla furono nel 1880 nientemeno che "Gordito" e "Lagartijo". La testa di Bordador, primo toro lidiato nell' arena, è ancora lì a far mostra di sé. Ma la lunga tradizione taurina del Puerto risale a ben prima dell' edificazione della Plaza attuale, quando si toreava nelle piazze o in costruzioni provvisorie di legno. La Plaza odierna è un poligono regolare che contiene più di dodicimila spettatori e l' esterno è movimentato da tre fila di archi.
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Plaza Toro, Puerto Santa Maria
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Azulejos, Plaza Toro, Puerto de Santa Maria
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La mia casa "spagnola'' (o Andalusa) del Puerto, dista solamente poco più di cento metri dalla Plaza del Toro della città. Impossibile quindi, soprattutto d' estate, non entrare in contatto, se non con un vero e proprio ambiente "taurino", almeno con una sorta di climax pre e post corrida. La gente si veste a fiesta, affolla i bar, invade piazze e strade, si scambia saluti, pacche sulla spalla, opinioni e considerazioni...Quello che poi succede all'interno della Plaza (nell' arena) è un' altra storia, una storia che non mi piace troppo e che non condivido, ma che cerco di rispettare. Pure la maggior parte degli spagnoli con i quali, casualmente o meno, ho affrontato l'argomento "tori" si sono dichiarati fermamente contrari al mondo delle corride, anche se rimane sempre chi vede nelle gesta di un bravo torero una forma d' arte sublime. Ho scovato un interessantissimo articolo (che vi propongo in basso) pubblicato in Spagna da un famoso scrittore e giornalista andaluso, Antonio Muñoz Molina, il quale dà una sua personale e interessante interpretazione all' argomento che mi sembra interessante.
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"Posso capire che mio padre si commuovesse alle corride. Ma oggi, quando vedo la foto di un torero in prima pagina, mi vergogno del mio paese".

Antonio Muñoz Molina
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Antonio Muñoz Molina è nato a Ubeda, Andalusia, nel 1956 e vive a New York. Il suo ultimo libro pubblicato in Italia è "Finestre di Manhattan" (Mondadori, 2006)

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Quando avevo sei o sette anni mio padre mi portò a una corrida. Era una passione che avrebbe tanto voluto trasmettermi. Ricordava sempre il pomeriggio di agosto in cui gli avevo annunciato che un toro aveva appena ucciso Manolete nell' arena di Linares. Manolete per loro era un eroe, ma anche un amico. Vent' anni dopo sarebbe stato superato da un altro torero di fama passeggera, Carnicerito de Úbeda. Carnicerito on era solo un nostro concittadino: suo padre (da cui aveva preso il nome "il piccolo macellaio") aveva un banco al mercato propio davanti a quello della mia famiglia. Da un giorno all' altro il bambino che mio padre aveva visto crescere si era trasformato in un celebre personaggio del mondo delle corride. A volte lo vedevamo passare su una Mercedes bianca. Con gli anni, la corrida dove mi aveva portato mio padre è diventato un ricordo vago, fatto di noia e ribrezzo. Lui invece la ricordava benissimo, grazie alla buona memoria per le delusioni e i piccoli affronti che uniscono genitori e figli. Ricordava che pochi minuti dopo l' inizio avevo cominciato a chiedergli quanto mancasse alla fine. Avrà pensato, giustamente, che il mio scarso interesse per i tori fosse l'ennesimo segno del mio ispiegable dissenso verso le cose che gli piacevano di più, che facevano parte del suo mondo e che avrei dovuto imparare ad amare da lui come lui aveva imparato a farlo da suo padre: la campagna, gli animali, l' allegro trambusto del mercato all' ingrosso, le canzoni di flamenco che passavano alla radio... Era il mondo dei contadini, e i nostri genitori erano assolutamente certi di appartenergli, come noi eravamo certi di volerlo abbandonare. Non era un paradiso rielaborato dalla nostalgia né il frutto di una cultura antichissima e incorruttibile. Il mondo dei contadini poveri nella Spagna degli anni cinquanta e sessanta era un paesaggio di rovine lasciato dalla guerra civile, sprofondato nell' aretratezza per colpa della vittoria militare delle classi sociali più reazionarie e dei loro alleati ecclesiastici.
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Manuel Rodriguez Manolete .
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due foto d'epoca della corrida, Puerto de Santa Maria
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In quell' asprezza senza orizzonti, per i nostri genitori la corrida era un emozione estetica, ma anche l' occasone per ammirare il trionfo di chi era sfuggito alla loro condizione. La brutalità di quello spettacolo sanguinario era difficilmente percepibile da chi la sperientava ogni giorno su di sé. Noi, figli di quelle persone, siamo cresciuti nel mondo costruito dai nostri genitori con il loro lavoro ingrato. Ma proprio perchè la nostra vita era migliore e più ricca di possibilità, hanno smesso di piacerci le cose che piacciono a loro. Quella Spagna pacchiana e retrograda, che per fortuna ci stava diventando estranea, amava i pasodobles, i vestiti e i cappelli da torero, la grossolana simbologia del sangue e dell' arena. Era la Spagna nera, quella dei luoghi comuni a poco prezzo per i turisti. La Spagna degli intellettuali stranieri che fingevano di apprezzare il nostro esotismo, e intanto ci guardavano dall' alto in basso, poveri bruti domati da un dittatore, prigionieri delle nostre passioni e dei nostri rituali, incapaci di entrare davvero a far parte del mondo moderno. Credevamo che la libertà, come una ventata d'aria fresca, avrebbe scacciato questo corteo di fantasmi; che l'esempio della nostra democrazia e la ricchezza della nostra tradizione illuminista avrebbero lentamente cancellato la fama della Spagna nera. Chi avrebbe immaginato che nel terzo milennio sarebbe tornato alla ribalta uno dei peggiori residui del nostro passato, presentandosi come moderno, adirittura sofisticato? Una miscela letale di ignoranza, miseria civica e speculazione urbana ha spazzato via molti dei nostri paesaggi più belli e ha distrutto per sempre l'eredità della nostra achitettura popolare. Ormai si celebrano solo gli aspetti più retrogradi del passato, innalzati alla categoria inattaccabile di cultura autoctona, perfino di arte d'avanguardia.
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Il famoso torero José Tomàs
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Posso capire che mio padre si commuovesse guardando una corrida. Ma adesso, quando vedo la foto di un torero sulla prima pagina dei giornali più rigorosi, quando leggo fiumi di prosa artistica versati sui tori, mi vergogno del mio paese. In Spagna chi difende gli animali suscita lo stesso scherno un tempo riservato alle suffragiste. Cos' ha di nobile lo spettacolo di un animale tormentato, di una morte che non avviene in quell' istante di arte suprema esaltato dagli intellettuali, ma solo dopo una ripugnante successione di stoccate maldestre? Alcune menti elette hanno deciso che la corrida è un esempio di alta cultura: inutile stupirsi, quindi, se fuori dalla Spagna molti pensano ancora che la nostra cultura sia solo una questione di tori. L' unico artista spagnolo degno dell' attenzione del critico di punta del New York Times è il torero José Tomàs.
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alcune gesta di José Tomàs
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A quanto pare Tomàs è anche poeta. Mi torna in mente l' antica tradizione letteraria i cui si celebravano i toreri, persone che spesso sceglievano quel mestiere solo per non morire di fame. Il Canto per Ignacio Sanchez Mejias di Federico Garcia Lorca è bellissimo, ma non so se basta a compensare le tonnellate di lirismo taurino, untuoso come grasso di chorizo, che sono tornate a inondare i giornali. Proprio ora che per la maggior parte degli spagnoli i tori stanno finalmente diventando una misera anticaglia, che sopravvive solo grazie alle sovvenzioni pubbliche, come il resto delle nostre tradizioni ancestrali.

Antonio Muñoz Molina
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Caro Antonio, se potessi mi piacerebbe risponderti alla "gaditana", e cioè con una spiccata propensione a ironizzare su tutto: capisco e approvo il tuo sfogo, ma cosa dovrei dire io come italiano? Qui da noi tutti i giorni si presenta l' occasione per vergognarsi e indignarsi (difficile il contrario), al punto che quasi ci siamo abituati. Nonostante questo io amo il mio paese, come amo il tuo (e in particolare l'Andausia, anche perchè in caso contrario non avrei scelto di viverci tutto questo tempo). Prendendo la cosa con un po' di sana ironia, sai che risultato darebbe l' equazione che mette insieme mondo taurino, Puerto de Santa Maria e alcune tue considerazioni a proposito di una Spagna pacchiana, retrogada e da cartolina esotica...? La risposta qui sotto.
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