venerdì 5 dicembre 2008

Retro-Africa: African music 1950-1980 (Introduzione)

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Uno smoking esagerato, scarpe come minimo di coccodrillo, la cravatta sempre più sgargiante di quelle del padrone di casa bianco. Si andava a ballare così, terminati i doveri di domestico, nello Zaire (l'attuale R.D.Congo) di metà anni Cinquanta, al ritmo di rumba e biguine. Ben conciati da carnevale di Trinidad si poteva accedere alle sale da ballo della Sierra Leone, inopinatamente investiti da un'ondata di calypso nel corso dello stesso decennio. Pantaloni a zampa di elefante d'obbligo, invece, nelle serate senegalesi e guineane degli anni Sessanta e Settanta, caratterizzate da big band sospese tra suggestioni cubane e radici locali. I ballerini più estrosi mettevano del borotalco sotto la suola delle scarpe prima di uscire, poi si potevano facilmente riconoscere mentre percorrevano sui tacchi la strada fino alla discoteca.
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L'elenco dei look, delle manie e dei suoni potrebbe proseguire a lungo, basta ascoltare e osservare le tante ristampe che negli ultimi anni sono state dedicate alla musica africana moderna. Se uno dei più lucidi esponenti della lotta di liberazione del continente, Amilcar Cabral, sosteneva che "così come le forze produttive, anche la cultura delle società africane sottomesse risulta congelata nel suo sviluppo dalla presenza coloniale", è altrettanto vero che il potenziale creativo derivante dall'importazione di oggetti come la chitarra elettrica e il pianoforte, e ancora prima dell'assorbimento degli strumenti a fiato che le bande militari europee si lasciavano alle spalle, accese processi di reazione a catena devastanti e sorprendenti sulle musiche locali, che si svilupparono e "scongelarono" anche in condizioni estreme, quando le band erano costrette ad affittare la strumentazione non avendo i soldi per possederne una, mentre l'accesso all'industria era sempre subordinato agli umori di personaggi senza scrupoli e a rapporti di forza squilibratissimi.
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Scene e personaggi epocali nascevano nel giro di pochi mesi, creando le fondamenta del pop più fresco, versatile e variegato del mondo. Musica condizionata, quando non dettata sillaba per sillaba, dalle radio e dalle mode occidentali, certo. Ma inguaribilmente, profondamente africana negli accenti, nelle soluzioni ritmiche e melodiche, nell'attitudine guascona, nel sorriso opposto alle più avverse condizioni tecniche. Una rilettura incantata che è servita a riafricanizzare le musiche della diaspora o ad americanizzare quelle locali. L'attuale corsa alla ristampa di materiale d'epoca può essere interpretato secondo punti di vista differenti. E' certo un'esigenza del mercato, poichè sempre più numerosi e competenti sono coloro che si occupano delle musiche del continente, con gusto ben superiore alle inconcludenti divisioni tra puristi al limite dell'etnologia e modernisti privi di capacità selettiva. E' anche un'operazione storiografica degna di nota, poichè contribuisce alla ricostruzione di ambienti e stati d'animo che coinvolsero milioni di individui in una fase transitoria di grandi trasformazioni. E' un gioco un po' trash, perchè sfidiamo chiuque a non sorridere di fronte alla copertina di un disco di Prince Nico Mbarga o alla foto di Sam Mangwana (anche questa la copertina di un mio vinile) vestito come James Brown e immortalato di fronte a svincoli autostradali di Kinshasa che non sfigurerebbero a Los Angeles.
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Il recupero è inoltre frutto della cura e della passione di esperti mossi da sincera volontà divulgativa, prima ancora che un interesse economico, che trovano le sensibilità giuste in etichette del settore (come Earthworks, Stern's, Syllart, Lusafrica, Retro Afric, Buda, World Circuit, Strut, Harmless...e più di recente l'ottima Soudway). Infine, anche alla luce di quanto il continente sta offrendo sul versante dei nuovi talenti, la riscoperta di vecchie glorie diventa una fuga fisiologica del mercato verso materiali retroattivi, oscuri ed affascinati, oltre che ricchi di contenuti musicali. Da questo insieme di cause, deriva un effetto prezioso, imperdibile. L'opportunità di mettere il naso in quelle sale da ballo, in quelle case, la possibilità di ascoltare suoni spesso rimasti per decenni a prendere polvere sui 78 giri e 45 giri originali, di scoprire scene e personaggi in alcuni casi vivi soltanto nella memoria di qualche anziano. Di risalire la corrente della musica africana e scoprire insospettabili anelli di congiunzione tra le cose di oggi e la tradizione, quando non ci si imbatte (e succede spesso) in modelli che scartano radicalmente il rapporto con il passato, molto più di quanto non sia avvenuto nelle produzioni degli ultimi anni. I documentari girati in Africa prima degli anni Sessanta esprimono il punto di vista dei bianchi, poichè mezzi altamente tecnologici per l'epoca come la cinepresa non erano accessibili ad altri. Ma la chitarra elettrica, il giradischi, il sassofono e la macchina fotografica possono raccontarci altre storie, da angolazioni diverse e con prospettive straordinarie. Buon viaggio nell'Africa che fu, senza la quale sarebbe arduo immaginare l'Africa che sarà.
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FUORI I DISCHI
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Vi propongo alcune tra le migliori antologie e/o ristampe (pubblicate e uscite dai primi anni '90 fino ad oggi) che prendono in considerazione scene, artisti e personaggi della musica africana in un lasso di tempo compreso quasi esclusivamente tra gli anni Cinquanta e Ottanta. Ancora una volta buon viaggio nell'Africa che fu.
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-CONGO-ZAIRE

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Tricky Retro-Africa Compilation


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1 commento:

  1. cercavo musica per le mie orecchie ed ho trovato questo bel blog e mi sono pure trovato linkato...
    ma che bello
    grazie e complimenti!
    M

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